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Si comunica solo a parole?

Il lavoro di co-creazione

Si comunica solo a parole?

Possiamo dirlo subito, anche il silenzio comunica. Come ci comportiamo, come ci muoviamo nello spazio, ciò che indossiamo, le relazioni che stringiamo: tutto parla di noi. Può capitare, però, che l’immagine che abbiamo di noi stessi non corrisponda del tutto a quello che facciamo.

«Spesso, all’inizio, non capisci bene chi hai davanti», mi ha spiegato Linda, graphic designer di Tonidigrigio dopo la sua prima esperienza di facilitazione. «Non lo sai, è tutto un po’ vago. Con questa prima fase, però, riesci già a percepire lo sguardo, i ruoli, i rapporti tra le persone del team esterno».

Il metodo di Tonidigrigio è pensato per raggiungere la massima corrispondenza fra il proprio modo di agire, di essere e di comunicare. A chi vuole seguire questo percorso si chiede di costruire uno spazio comune in cui far emergere la voce di tutti i membri dell’organizzazione. Comunicare, in fondo, significa proprio questo: mettere in comune, generare insieme relazioni autentiche in cui ognuno restituisce una sfumatura del valore del proprio lavoro.

Non sempre c’è la condizione. Ad esempio, con l’Università Politecnica delle Marche si è lavorato sui contenuti e lo sviluppo grafico per il progetto del Bilancio Social. I tempi erano stretti e c’era già una base solida di contenuto, così si è condiviso che non fosse necessario attivare un percorso di facilitazione.

Le esigenze, però, cambiano. Nel 2022, la stessa Università si è trovata di fronte ad una necessità diversa che l’ha spinta a coinvolgere Tonidigrigio proprio per il suo modello di coinvolgimento attivo. In questa occasione, l’Università ha inaugurato il Laboratorio di eccellenza Lab B+, nato per aiutare le imprese ad incrementare l’utilizzo di tecnologie per l’industria 4.0. La nuova circostanza richiedeva il confronto fra due mondi apparentemente molto lontani, ma che hanno bisogno di comprendersi: accademia e impresa.

Un progetto di questo tipo richiede relazioni di qualità, per moltiplicare opportunità e intercettare nuove occasioni che valorizzino il territorio. Le tecniche utilizzate, per costruire il dialogo, raccolgono le idee e le mettono in condivisione. Si usano, ad esempio, pennarelli a punta grossa che invitano alla sintesi, o post-it per annotare velocemente i contenuti. Sono strumenti molto semplici e, forse proprio per questo, molto utili per lavorare insieme.

«All’inizio pensavo fosse il solito incontro tra università e aziende, ognuno con il suo linguaggio, le sue priorità», dice chi ha partecipato all’incontro. «Invece la facilitazione ha davvero cambiato le cose: ci ha aiutato a capirci, a trovare un terreno comune. E la cosa che mi ha colpito di più è stato vedere come dottorandi e collaboratori siano riusciti a fare da ponte tra i due mondi. Senza di loro, certe connessioni non sarebbero mai nate».

Ovviamente, il lavoro non si esaurisce con la facilitazione: a seconda dei ruoli in agenzia, cambia la modalità di approccio e di inserimento nella fase di sviluppo.

«Nel rapporto con il cliente, subentro dopo la parte di facilitazione quando emerge la necessità di sviluppare un sito web», racconta Giorgia (UX/UI designer).

Il primo incontro con il cliente fa emergere l’identità del progetto con cui ci si confronta, insieme alle necessità per sviluppare uno strumento comunicativo. Quando queste sono chiare, è più immediato portare a termine i vari aspetti del lavoro.

In questo senso, Giorgia si collega alla restituzione della facilitazione per affrontare un’altra questione: capire quali sono le informazioni principali a cui il cliente vorrebbe dare rilievo sulla pagina.

«Per rispondere, spesso coinvolgiamo i clienti in workshop sulle users stories, immaginando quali possono essere le personas che navigano sul sito: ovvero il target tipo del cliente», mi spiega.

«Faccio un esempio pratico», continua Giorgia. «Stiamo lavorando al sito di un parco acquatico: una persona tipo potrebbe essere una mamma con figli. Quindi nella users story, coinvolgendo il cliente cercherò di immedesimarmi in una mamma con bambini di 7/10 anni: voglio prenotare un ombrellone con 2 lettini».

«Questo ci aiuta a capire e sviluppare le priorità effettive delle persone che navigano all’interno del sito e quello che vogliono trovarvi. Una delle azioni principali, allora, sarà voler acquistare l’ingresso al parco», conclude Giorgia.

Il confronto creativo rappresenta senz’altro una parte centrale, a tutti i livelli del progetto, dando voce a referenti tanto dell’industria quanto del contesto accademico. Ma la partecipazione non si esaurisce con la presenza: va sostenuta. E creare questo tipo di complicità è uno dei compiti del facilitatore, che deve essere in grado di coinvolgere il 100% dei presenti.

Per i meno abituati, può essere difficile esporsi. A volte, ci si può sentire fuori in difficoltà, quasi fuori contesto. Eppure, il semplice fatto di aver accettato di partecipare all’incontro è già un modo di comunicare e “mettere in comune” il proprio punto di vista. Basta fare un piccolo passo in più. Allora, il punto esterno ma discreto del facilitatore può aiutarci.

C’è chi si stupisce quando ascolta la propria voce restituita attraverso la voce degli altri durante gli incontri e coglie sfumature inaspettate, o vede emergere aspetti che l’abitudine aveva trasformato in rumori di fondo.

Irene Sorrentino

Irene Sorrentino

Copywriter

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